Il fuoriclasse olandese, vincitore di tre Palloni d’Oro, ha scritto pagine importanti della storia del calcio prima in campo e poi in panchina.
Ci sono persone che nascono con un’aura particolare, che riescono in qualsiasi cosa provino a fare. Johan Cruyff era certamente una di queste. Nel corso della sua vita nel mondo del calcio si è cimentato in ruoli diversi, prima sul campo poi in panchina e infine dietro la scrivania ma sempre con enorme successo. Gianni Brera lo aveva ribattezzato “il Pelé bianco” per le sue incredibili doti, brasiliano per la tecnica ma europeo per il modo di stare in campo.
Quasi impossibile circoscrivere il suo ruolo all’interno delle classiche figure attribuite ai calciatori: potremmo dire fosse un attaccante per i 395 gol segnati in carriera, in particolar modo con le maglie di Ajax e Barcellona, ma non sarebbe sbagliato neppure catalogarlo tra i centrocampisti per la visione di gioco ed anche per la capacità di recuperare palla, non proprio tipica del centravanti. Cruyff sapeva fare tutto, non era raro trovarlo in difesa, magari a salvare un gol sulla propria linea di porta, e poi vedergli gestire la ripartenza con una rapidità fuori dal comune.
Uno dei suoi classici movimenti era la giravolta, entrata nella storia come marchio di fabbrica del fuoriclasse olandese. Questo passo consisteva nel fingere di calciare la palla, mentre con la suola o l'interno del piede la faceva passare dietro l'altro piede, fermo a terra; subito dopo, compiva una giravolta di 180 gradi e accelerava immediatamente per superare l'avversario. Elegante da vedere ma allo stesso tempo funzionale, perché consentiva alla sua squadra di ritrovarsi poi in superiorità numerica. Nella storia abbiamo avuto la fortuna di ammirare numerosi talenti, pochi però tra questi riuscivano ad abbinare qualità e quantità, talento e corsa.
Johan Cruyff non proveniva da una famiglia benestante. La mamma e il padre si arrangiavano vendendo frutta e verdura nella periferia di Amsterdam. Lui ben presto scelse il pallone come via di fuga e possibilità di un futuro migliore. D’altro canto già dalla tenera età ci si era resi conto che avesse qualcosa in più degli altri. L’Ajax, club sempre particolarmente attento ai giovani e alla crescita dei talenti presenti nella terra dei tulipani, lo tesserò quando aveva soltanto dieci anni. A diciassette esordì in prima squadra e ad una settimana dall’esordio realizzò la prima rete da professionista.
All’epoca i lancieri vivevano un periodo di grande difficoltà che portò all’esonero di Vic Buckingham sostituito dal trentottenne Rinus Michels: fu il punto di svolta e l’inizio di un’epoca storica per tutta l’Olanda e non solo. Il calcio venne rivoluzionato nei suoi concetti fondamentali. Anarchia dei ruoli con posizioni intercambiabili in campo, ricerca assoluta dell’attacco, una squadra intera che corre in avanti per lasciarsi gli avversari alle spalle in una maniera di difendersi attuando la strategia del fuorigioco mai vista prima. Come tutte le rivoluzioni, anche quella ebbe bisogno di un periodo di assestamento. Poi cominciò la meraviglia, con Cruyff assoluto protagonista.
Il calcio totale portò nella bacheca dei biancorossi sei campionati, tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa UEFA. Con la riapertura delle frontiere in Spagna, nel 1973 Cruyff scelse di andare al Barcellona, preferendolo al Real Madrid. Qui nacque un’altra bellissima storia, fatta di trofei e di spettacolo puro. Anche in Catalogna cinque anni memorabili, prima del passaggio negli Stati Uniti e il successivo ritorno in Olanda.
Nel 1999 la Fifa elesse Michels allenatore del secolo. Evidente quanto questo allenatore abbia influito sulla futura interpretazione del gioco del calcio ed anche sul destino di Johan Cruyff. Che rielaborò le teorie del suo maestro quando passò dal campo alla panchina. Anche nella veste di tecnico il tre volte Pallone d’Oro riuscì a vincere tutto, sempre con addosso le due maglie della sua vita: quella dell’Ajax e quella del Barcellona.
Con i lancieri il trofeo più importante fu senza dubbio la Coppa delle Coppe del 1987 dopo un digiuno europeo lungo quattordici anni per i Figli degli Dei. I catalani invece ottennero risultati inimmaginabili con l’olandese alla loro guida, vincendo per quattro volte consecutive la Liga e portando a casa anche una Coppa del Re, una Coppa delle Coppe e soprattutto la prima Coppa dei Campioni nella storia del glorioso club dalla tinta blaugrana. L’unico rammarico della sua lunga e straordinaria carriera può essere rappresentato dalla Nazionale, più bella che vincente. Anche oggi divide chi mette in cima a tutto i risultati dagli amanti della bellezza. Tutti sono però d’accordo sull’amore nei confronti di questo formidabile fuoriclasse che ha segnato in maniera indelebile la storia di questo oggetto dalla forma sferica che ancora oggi continua a farci sognare.
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