Lo 'Spice Boy' ha indossato le maglie dei club più blasonati del Vecchio Continente, contribuendo poi a rendere popolare il calcio negli Stati Uniti.
Quando all'età di 11 anni il piccolo David Robert Joseph Beckham viene scartato da Tottenham, Leyton Orient e Norwich, difficilmente immagina che un giorno il suo nome verrà inserito dalla Fifa nella lista dei 100 giocatori più forti di sempre. All'epoca del resto, a dargli fiducia, è soltanto la piccola formazione di provincia del Brimsdown Rovers, compagine guarda caso allenata dal padre. Ma chi può avere, oggi, il coraggio di parlare di favoritismi? Senza quella lucida ostinazione paterna, milioni di appassionati non avrebbero mai potuto godere di calci di punizione e cambi di gioco di uno dei piedi destri più educati della storia del calcio. Un vero e proprio poeta.
Il giorno che cambia definitivamente la vita di David Beckham è l'8 luglio del 1991: a 16 anni, infatti, il giovane londinese entra a far parte delle giovanili del Manchester United, la squadra per la quale il padre gli ha trasmesso la passione e, soprattutto, il club con cui scriverà pagine memorabili. Dopo un breve periodo di apprendistato, caratterizzato da un anno di prestito al Preston, "Becks" conquista un posto in pianta stabile nell'undici iniziale schierato da Sir Alex Ferguson, colui che nella carriera di David si affermerà poi come suo "papà calcistico". Nel 1999, nella finale di Champions League giocata contro il Bayern Monaco, partono proprio dal piede destro di Beckham i due cross dalla bandierina che consentono ai Red Devils di rimontare i bavaresi con i gol di Sheringham e Solskjær, entrambi nel recupero. Ma di pari passo con la consacrazione internazionale, per David iniziano le difficoltà in patria.
Beckham è un giocatore stellare: calcia divinamente, è unanimemente riconosciuto come uno dei migliori interpreti della storia nel battere le punizioni, ma è anche un uomo-squadra, un mastino che si sacrifica in mediana, che recupera palloni al servizio dei compagni. Cosa mai potrebbe andare storto? Partita dopo partita, anno dopo anno, si diffonde una strana vulgata: quella secondo cui David Beckham non proverebbe nei confronti della nazionale dei Tre Leoni lo stesso coinvolgimento nutrito nei confronti del suo Manchester United. Come spesso accade nel calcio a mettere a tacere le polemiche sono i fatti. Ed è un fatto effettivamente eccezionale quello che va in scena nei minuti di recupero della gara contro la Grecia, quando Beckham si inventa una punizione capolavoro, mandando in visibilio i tifosi e trovando il gol che qualifica l'Inghilterra ai Mondiali di Corea del Sud e Giappone del 2002.
Nel 2003 Beckham si trasferisce al Real Madrid, contribuendo a pieno titolo a costruire la fama di squadra di "Galacticos". Con la camiseta blanca il palmares sarà meno ricco di quanto il talento della squadra avrebbe lasciato ipotizzare (una Supercoppa spagnola e una Liga), ma anche uno stadio esigente come il Bernabeu impiega pochissimo a comprendere che Beckham è un calciatore diverso, un campione vero per mezzi tecnici ma pure per dedizione, al contrario di quanto la sua fama da superstar, complice il matrimonio con la cantante Victoria Adams, potrebbe erroneamente suggerire.
Nel 2007 lo "Spice Boy" si lancia in un'altra impresa: rendere più popolare il calcio negli Stati Uniti. Così va interpretata la decisione di lasciare l'Europa per firmare un contratto quinquennale con i Los Angeles Galaxy. Il richiamo del Vecchio Continente, però, tornerà presto a bussare alla porta e soprattutto al cuore di David. A convincerlo a rimettersi in gioco è il Milan, e Beckham ancora una volta mette a tacere gli scettici nell'unico modo che conosce: sul campo, a suon di prestazioni di classe e di comportamenti improntati alla professionalità, che gli valgono in poco tempo l'amore di Milanello e dei supporter di fede rossonera.
Il rapporto è tale che il prestito dai Los Angeles Galaxy viene rinnovato per una seconda stagione, ma è in chiaroscuro per la sua conclusione: un grave infortunio, infatti, gli impedisce di partecipare ai Mondiali del 2010. La forza di volontà di Beckham è comunque tale da consentirgli un ritiro da campione: l'ultima partita la gioca nel 2013 con la maglia del Paris Saint-Germain, con cui vince il titolo francese e dove ritrova Ancelotti, suo allenatore al Milan. Proprio da un altro grande rossonero arrivano le parole forse più belle mai pronunciate su David Beckham. Un certo Arrigo Sacchi ha detto del campione inglese: "C'è una differenza: giocatore è colui che gioca bene, calciatore è colui che conosce il calcio. E Beckham è un calciatore da calcio totale". Come dargli torto?
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