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Kaká: Il bambino diventato un gigante

Talento cristallino, scoperto da Leonardo e lanciato dal Milan quando era praticamente uno sconosciuto. In poco tempo conquistò il mondo intero che conserva ancora nella memoria quell'immagine di un ragazzino felice.

Da qualche mese ha compiuto 40 anni ma la faccia da bambino non l'ha mai persa, Ricardo Izecson dos Santos Leite, meglio noto con lo pseudonimo di Kaká. Quando arrivò in Italia correva l'anno 2003, lo scetticismo imperava su questo brasiliano sconosciuto ai più. Luciano Moggi, all'epoca dirigente della Juventus, ironizzò sull'acquisto: "È pericoloso esporre un giocatore con un nome così al pubblico. Perché se poi gioca male…".

Ma Leonardo era convinto delle potenzialità di questo trequartista, arrivato come riserva del portoghese Rui Costa già campione affermato. Bastarono pochi allenamenti per convincere Ancelotti: "Non lo diamo in prestito, deve restare con noi", e anche il suo rivale per una maglia da titolare della bontà dell'operazione.

Tanto che l'ex numero 10 della Fiorentina telefonò ad Adriano Galliani chiedendo addirittura la cessione: "Con questo qui non giocherò mai". Aveva ragione, Kaká ci mise poco tempo a scippargli il posto e ad entrare nel cuore dei tifosi del Milan. Tecnica sublime, visione di gioco illuminante, progressione straripante e dribbling: un giocatore completo che si sarebbe immediatamente preso la scena incantando San Siro.

In quegli anni i rossoneri avevano a disposizione una rosa di altissimo livello con fuoriclasse in ogni reparto del campo ben assemblati in campo dal proprio allenatore che aveva cercato una maniera per far coesistere più qualità possibile. E l'aveva trovata nel modulo poi ribattezzato albero di Natale nel quale accanto al gioiellino verdeoro potevano trovare spazio anche il già citato Rui Costa, oltre a Seedorf, Pirlo e Shevchenko con possibilità anche per Filippo Inzaghi.

Toccava a Gattuso correre pure per gli altri, approfittando di una difesa granitica che poteva contare su Cafu, Nesta, Maldini, Pancaro e Stam. Erano tempi in cui il calcio italiano poteva ancora recitare un ruolo di primo piano nella scena internazionale. Anche se in questo caso si trattò di una vera e propria folgorazione.

Il San Paolo e l'amore per il Milan

Il talento Kaká lo ha sempre avuto e anche al San Paolo non nutrivano alcun dubbio. Però da ragazzino fisicamente non era formato e la preoccupazione del club nel quale mosse i primi passi era che quel corpo così esile non avrebbe potuto consentirgli di esprimere tutto il potenziale. Così gli fecero fare un po' di palestra per irrobustirlo.

L'esordio con la prima squadra nel Tricolor Paulista avvenne quando aveva appena 18 anni: gliene bastarono tre per guadagnarsi la chiamata del Milan dove rimase per sei stagioni vincendo uno Scudetto, una Supercoppa italiana, una Uefa Champions League, due Supercoppe europee e una Coppa del Mondo per club. Nel 2007 gli venne assegnato anche il Pallone d'Oro come miglior giocatore in assoluto.

Il bilancio della sua prima esperienza in rossonero fu di 70 reti in 193 apparizioni. Poi arrivò il Real Madrid, da sempre desideroso di avere in rosa i giocatori più forti al mondo e tra questi c'era ovviamente anche il brasiliano. La sua esperienza con le Merengues durò complessivamente quattro anni che non furono altrettanto esaltanti e nei quali riuscì soltanto a sprazzi a mostrare le sue doti. Kaká è sempre stato un sentimentale, per questo motivo decise di tornare laddove era stato bene: una stagione da amarcord al Milan prima di tornare in patria al San Paolo e chiudere poi una memorabile carriera negli Stati Uniti tra le fila dell'Orlando City.

Brasiliano in campo, europeo fuori

Di brasiliano Kaká aveva solo l'estro in campo. Per il resto sembrava quasi più europeo che verdeoro, sempre professionale e mai mondano. Veniva amato anche per questo, oltre che per ciò che di bello sapeva regalare nel rettangolo di gioco. In Nazionale il suo successo più importante non lo ha vissuto da protagonista: il riferimento è al Mondiale vinto nel 2003 in Corea del Sud e Giappone.

Qualche spezzone e nulla più per quello che all'epoca veniva considerato come riserva di Rivaldo. In totale 90 presenze con la Seleção e 29 reti. Nel palmarès anche due Confederations Cup e un argento nella Coppa America del 2003. Sempre con le braccia alzate, quelle di un bambino qualunque felice semplicemente nel poter giocare con un pallone, e quella della gente che insieme a lui ha gioito ed esultato per anni.

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