L’Italia di Mancini è partita come meglio non poteva, con vittorie di qualità e un gioco divertente ed efficace. Smarrita la magia iniziale, però, il gruppo s’è spento col Ct che le ha provate tutte per rianimarlo fino al giorno delle dimissioni.
Come un fulmine a ciel sereno. In un tranquillo e caldo pomeriggio del 13 agosto Roberto Mancini ha rassegnato le proprie dimissioni da Commissario Tecnico della Nazionale italiana. Una decisione maturata nella notte, racconta chi ha vissuto in maniera più ravvicinata le dinamiche relative al tecnico jesino. Ma sicuramente inattesa, anche in virtù di un contratto rinnovato nel maggio 2021 e fino al 2026. Anche nelle scorse settimane la posizione dell’allenatore sembrava ben salda con la decisione, a lui stesso attribuita, di allargare lo staff tecnico con Andrea Barzagli per curare la fase difensiva e Gianluigi Buffon in qualità di team manager.
C’è chi parla di incomprensioni con la Federazione, chi di sirene arabe che avrebbero bussato anche alla porta del cinquantottenne marchigiano. Il tempo, magari, ci aiuterà a comprendere una decisione che invece sarebbe risultata comprensibile dopo la mancata qualificazione in Qatar, più che in un’estate priva di impegni. Ad ogni modo, come sempre quando termina un’esperienza certamente significativa, arriva il tempo dei bilanci. Chiaroscuro quello del Mancio anche se un dato è certo: la sua non è stata una parentesi di passaggio ma ha lasciato un’eredità a Coverciano tra la ricerca di un gioco gradevole e al tempo stesso efficace e il messaggio lanciato alle società sul coraggio nel lanciare giovani talenti.
Il dono dell’infallibilità non ce l’ha nessuno. Se Roberto Mancini avesse concluso la sua esperienza a Coverciano il 12 luglio 2021, all’indomani del successo contro l’Inghilterra, oggi sarebbe stato venerato e rimpianto da tutto il Belpaese. Troppo bella quella Italia, che segnava quasi una rottura rispetto ad una tradizione maggiormente focalizzata su fase difensiva e ripartenze. Il Mancio, invece, ha costruito, come si fa nei club, più che amalgamato come spesso e volentieri viene invece richiesto ai selezionatori.
L’ex allenatore, tra le altre, di Inter e Manchester City, invece ha creato un gruppo partendo da un’idea di calcio e lo ha adeguato tenendo fede ai suoi principi. In tempi in cui le società non è che abbiano fatto chissà quali sforzi per dargli supporto. Il numero di stranieri, non sempre efficaci, è sempre stato elevato. Ad oggi i dati raccontano di 367 giocatori provenienti dall’estero sui 604 che militano in Serie A: la percentuale è del 60,8% che inevitabilmente condiziona il ruolo di chi deve andare a pescare il meglio dalla competizione. Così Mancini è andato a setacciare il calcio internazionale, allargando il discorso anche ad oriundi come l’attuale centravanti del Genoa Mateo Retegui. In totale sono stati 57 i calciatori che hanno esordito con l’Italia sotto la guida dell’ex fantasista dal maggio 2018 fino ai giorni nostri. Molti di questi erano giovani, in qualche caso addirittura senza presenze in massima categoria. Che non si dica non abbia studiato soluzioni o rischiato.
Dopo l’Europeo, invece, Roberto Mancini è rimasto in sella al gruppo azzurro. L’ambizione di provare a vincere il Mondiale è stata evidentemente più forte di eventuali calcoli opportunistici. Probabilmente la parentesi della kermesse itinerante del 2021 è stata sopravvalutata da Federazione e allenatore. Quella squadra che ottenne, meritando, il trofeo fu brava e anche fortunata, tanto da vivere un mese idilliaco all’interno del quale la sensazione era che nulla e nessuno potesse frapporsi. Poi l’evento è terminato, la magia scomparsa e la Nazionale regredita anche tatticamente verso un 3-5-2 che sapeva di stantio, senza spunti, senza sussulti e soprattutto senza un centravanti degno di tale nome.
Anche così si spiega il flop Mondiale dopo il quale tutti, dimenticando il successo precedentemente ottenuto, chiesero la testa del principale responsabile di tale fallimento. Che nel calcio è sempre l’allenatore. Il Mancio tenne botta, resistette e rilanciò verso un nuovo obiettivo, una nuova sfida da cercare. Prima la Nations League poi un altro Campionato europeo: sarebbero stati questi i traguardi prefissati dal tecnico jesino. Ed invece la Nations se l’è presa la Spagna, con buona pace degli azzurri il cui percorso si è interrotto alle semifinali e per l’Europeo manca ancora un anno.
Solo che sulla nostra panchina non ci sarà più lui. Il perché ce lo racconterà, forse quella fiducia accordatagli dalla Federazione è gradualmente venuta a mancare in concomitanza con l’addio dei suoi storici collaboratori come Evani, Nuciari e Lombardo. Magari c’è la voglia di top club, di Arabia o semplicemente la convinzione di non poter più essere utile alla causa. Qualcosa però il Mancio ha fatto: restano il trofeo, l’abbraccio con l’amico Luca Vialli, la via del gioco tentata e poi abbandonata. Nelle difficoltà di un movimento non più di primo piano lui ha il merito di averci provato.
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