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La Nazionale italiana di Cesare Maldini

Dopo i tre campionati vinti con l’Under 21 la Federazione gli affidò la panchina della squadra maggiore. I suoi due anni di gestione segnati dal dualismo Baggio-Del Piero e da quella maledetta serata in Francia con sconfitta ai calci di rigore.

La dinastia dei Maldini, portata avanti egregiamente da Paolo che ora ha lasciato l’eredità a suo figlio Christian, è stata inaugurata da papà Cesare. Cresciuto nel Milan ha avuto un’evoluzione della carriera da calciatore molto simile a quella del figlio. Nato terzino, impiegato indifferentemente sia a destra che a sinistra, ha concluso da difensore centrale e nello specifico da libero, una figura ricorrente del passato ma finita ormai nel dimenticatoio. 

Appese le scarpette al chiodo Cesare Maldini si è immediatamente calato nelle vesti di allenatore, cominciando sempre nel Diavolo, prima da collaboratore tecnico alle dipendenze di Nereo Rocco, poi da primo allenatore, anche se con risultati non sempre fortunati. Dopo un giretto tra le province, come Foggia e Terni, riuscì a portare il Parma in Serie A, lanciando tra gli altri una giovane promessa come Carlo Ancelotti. Di fatto è stata quella la sua ultima esperienza al timone di una squadra, perché da quel momento intraprese la carriera federale, voluto dall’allora presidente della Federcalcio Federico Sordillo. 

Accanto a Enzo Bearzot, del quale era vice, Maldini riuscì a vincere la Coppa del Mondo del 1982. Dopodiché per ben dieci anni si occupò della Nazionale Under 21 centrando l’impresa di portare a casa ben tre campionati europei consecutivi. A quel punto fu inevitabile considerare il suo nome anche per la Nazionale maggiore che aveva deciso di separarsi da Arrigo Sacchi e doveva trovarne il sostituto.

L’uomo della Federazione chiamato per sostituire Sacchi

Era il 1996 e a quel tempo non era insolito puntare su una figura interna, già appartenente alla Federazione, per guidare una nazionale. Nel caso specifico la scelta fu ancora più semplice, dati i risultati ottenuti con l’Under 21 e l’impatto mediatico che poteva avere una figura carismatica e di credibilità totale come Cesare Maldini. Che, per la prima volta, si trovò a dover allenare suo figlio Paolo che, tra l’altro, era anche già capitano degli azzurri. 

Una particolarità, se vogliamo, ma anche una scelta semplice dal momento che il milanista era uno dei punti fermi indiscussi del processo di ricostruzione cui giocoforza doveva andare incontro l’Italia. Rispetto al suo predecessore, il già citato Sacchi, la visione del calcio era praticamente agli antipodi. Fu reintrodotto il libero in squadra, così come vennero richiamati giocatori che erano completamente spariti dai radar: tra gli esempi che possiamo citare Beppe Bergomi ma anche Gianluca Pagliuca e soprattutto Roberto Baggio. 

In più c’erano una serie di giovani sui quali poter contare per rinvigorire, anche dal punto di vista emotivo, il gruppo. Gianluigi Buffon, Fabio Cannavaro, Christian Vieri e Filippo Inzaghi erano calciatori già conosciuti da Maldini che aveva avuto modo di visionarli e lanciarli nell’Under 21. Sono questi anni importanti, nei quali si forma un’ossatura che diventerà storica per la nazione calcistica.

La maledetta notte francese, i rigori sbagliati e le critiche

Alla guida della Nazionale Cesare Maldini ci rimase soltanto due anni. Fu lui stesso a fare un passo indietro dopo la dolorosa eliminazione subita ai quarti di finale del campionato del mondo contro la Francia, padrona di casa nonché futura vincitrice del torneo. L’Italia aveva ritrovato credibilità dopo gli Europei d’Inghilterra che invece erano stati piuttosto deludenti. 

Giocarono anche bene gli azzurri, persino in quella maledetta notte del 4 luglio del 1998. A tradire il gruppo furono Albertini e Di Biagio, specialisti dei calci piazzati, che però fallirono dal dischetto mandando avanti i Galletti d’oltralpe. E dire che l’Italia avrebbe potuto chiuderla anche prima di arrivare fin lì, se non avesse sbagliato qualche gol di troppo tra Vieri, Baggio e Del Piero. Proprio quest’ultimo doveva recitare il ruolo di leader e protagonista indiscusso della competizione, ma sul più bello venne meno. Salì in cattedra, in compenso, il Divin Codino richiamato a furor di popolo nonostante il dualismo non salutare con lo stesso Del Piero. 

Maldini provò a gestirli alla sua maniera, con la personalità di chi sa prendere decisioni forti ma con la dolcezza del buon padre di famiglia. Per qualcuno quella formazione messa in campo, nonostante la qualità offensiva a disposizione, fu troppo rinunciataria con scelte che diedero torto a Maldini. Facile, col senno di poi ma il buon Cesare si disse soddisfatto della prestazione dei suoi al cospetto di un avversario effettivamente assai forte, anche se vulnerabile come quella stessa serata dimostrò. Certamente quella partita qualche rimpianto lo lasciò: la nostra Nazionale aveva già perso tanto alla lotteria dei calci di rigore, con quella finale Mondiale del 94 ancora nella mente di tutti. 

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