L'allenatore originario di Roma ha fatto la storia di Ascoli, Bologna e Brescia. Recordman di panchine in Serie A, fuoriclasse nella gestione dei big della squadra e protagonista di intuizioni storiche come quella relativa ad Andrea Pirlo.
Carlo Mazzone è uno dei grandi maestri del calcio italiano. Allenatore che non ha mai avuto la fortuna di gareggiare per grandi obiettivi, il classe '37 nativo di Roma è il simbolo del calcio di provincia che supera i suoi limiti e che non vuole saperne di un ruolo marginale. Un tecnico instancabile, in grado di reinventarsi ed essere sulla cresta dell'onda ininterrottamente per 38 lunghissimi anni.
Non stupisce, così, che parliamo dell'allenatore che detiene il record in Serie A con la bellezza di 792 panchine ufficiali, facendo la storia di Ascoli, Bologna, Brescia e soprattutto della sua amata Roma, che nel suo triennio non è certo al livello di Milan e Juventus. Un allenatore amato dai suoi giocatori e rimasto nel cuore di un big che poi il calcio lo ha rivoluzionato come Pep Guardiola, che apertamente lo ritiene un maestro e che - non a caso - lo ha voluto allo stadio Olimpico di Roma nel 2009, in occasione della finale tra il suo Barcellona e il Manchester United.
Protagonista spesso di atteggiamenti un po' fuori dalle righe, tra esultanze sotto le curve avversarie e battute da borgata, Mazzone è simbolo di un calcio che non c'è più ma non per questo antico. Riguardare oggi il Brescia di inizio anni Duemila, con Pirlo o Guardiola davanti alla difesa, Roberto Baggio ad inventare e Hubner o Luca Toni nelle vesti di finalizzatore, ci fa apprezzare una proposta tattica forse non rivoluzionaria ma che nasconde intuizioni da tecnico intelligente.
I complimenti di Guardiola non nascono per caso, nonostante i riferimenti calcistici e i contesti in cui i due sono cresciuti siano decisamente diversi: da un lato il tatticismo guardioliano, dall'altro il pragmatismo di Carletto Mazzone, allenatore che pensa più a valorizzare gli elementi di maggiore spessore della squadra e meno agli schemi o alle alchimie ereditate dal post-Sacchi o ancora prima dal calcio totale oranje. Due estremi verrebbe da dire, ma l'eredità di Mazzone sta proprio nella semplicità e nella capacità di gestire il gruppo: una lezione che - nonostante le diversità del caso - proprio Pep Guardiola ha fatto sua, ritrovandosi spesso a fare i conti con successo con prime donne.
Mazzone è prima protagonista di una discreta carriera da calciatore, segnata da sole due presenze in Serie A con la Roma e poi da tanta Serie C con la maglia dell'Ascoli. Proprio con i marchigiani inizia la sua avventura da allenatore, vincendo prima il campionato di Serie C nella stagione 1971/72 (sugli scudi bomber Renato Campanini con la bellezza di 23 gol) e regalando poi ai colori bianconeri la prima promozione in Serie A nel 1974.
Poi l'avventura alla Fiorentina, con tanto di terzo posto (e qualificazione in Coppa Uefa) grazie ai gol di Claudio Desolati e alle giocate sopraffine di Giancarlo Antognoni. Dopo i viola ecco la breve avventura al Catanzaro e il ritorno ad Ascoli, culminato con il sesto posto nel 1982. Poi la Serie B a Bologna, Lecce (promozione in A nel 1988) e Pescara.
Gli anni '90 sono segnati dall'ottimo biennio a Cagliari e dai tre anni nella sua amatissima Roma: con i giallorossi Mazzone non riesce ad andare oltre il quinto posto in campionato e i quarti di finale della Coppa Uefa 1995/96. Sempre nella seconda coppa europea dell'epoca, antenata dell'Europa League, tre anni più tardi Mazzone sfiora l'impresa sulla panchina del Bologna, quando si ferma solo in semifinale dopo due pareggi con il Marsiglia, ad un passo così dalla finale tutta emiliana con il Parma.
Nel 2000 è alla guida del Perugia che scuce lo scudetto dalle maglie della Juventus, regalandolo così alla "odiata" Lazio. Un paradosso bello e buono, per un Mazzone che è un romanista intransigente. Ma il vero capolavoro di fine carriera è il triennio alla guida del Brescia: la gestione di un genio assoluto come Roberto Baggio, il recupero di un Guardiola che sembrava ormai a fine carriera, l'intuizione di Andrea Pirlo nel ruolo di regista davanti alla difesa, la valorizzazione di un centravanti del calibro di Luca Toni. Tirando le somme, tre salvezze assolutamente tranquille per le rondinelle. A chiusura di carriera la terza avventura a Bologna, macchiata dalla retrocessione nel 2005, e il finale di campionato sulla panchina del Livorno.
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