Il talento e la sfortuna nella storia di Alessandro Nannini, iconico pilota attivo tra gli anni '80 e '90. Quando il destino devia la rotta ma il campione riesce comunque a trovare la sua strada.
Ci sono vite in cui il talento corre veloce, senza ostacoli, come una macchina lanciata sul rettilineo perfetto. La carriera di Alessandro Nannini sembrava destinata a seguire questa strada: un giovane pilota con una classe naturale capace di stupire per la sua velocità e per la sua audacia. La Formula 1 era la sua casa, lo aveva accolto di buon grado senza fargli pagare lo scotto del salto di categoria destinandolo a un percorso dai traguardi sempre più alti. Talvolta, tuttavia, il destino si mette di traverso condizionato dalle sue logiche imprevedibili.
Nel 1990, quando la sua carriera stava per esplodere, un terribile incidente in elicottero modificò radicalmente il corso della sua vita. La mano, quella mano che gli permetteva di manovrare vetture con eleganza e precisione, venne messa a dura prova. Il resto è una storia di resilienza, di passione che rimane inalterata anche quando le circostanze sono sfavorevoli. Ma è anche la storia di un talento che non basta per arrivare al successo. Quando si parla di Alessandro Nannini non si può, purtroppo, non partire da qui. Anche se non è qui che si esaurisce tutto.
Il cognome Nannini non è un cognome normale in Italia. Il collegamento con la cantante Gianna viene automatico ed in effetti in questo caso ci sta pure. Perché Gianna e Alessandro sono fratelli, figli dell’imprenditore Danilo Nannini, che nella vita si è occupato di dolci ma anche di sport. Ad Alessandro, però, piacevano soprattutto le auto. Così si è avvicinato ai rally nel 1978 passando poi alla Formula Fiat Abarth in cui vinse l’edizione del 1981.
Dall’anno successivo, poi, si dedicò al campionato europeo di Formula 2, facendosi ingaggiare dalla Minardi. Proprio con quest’ultima arrivò il grande salto in Formula 1 nel 1986: nonostante un team complessivamente poco competitivo, il suo talento non passò inosservato. E gli permise, nel giro di due anni, di passare alla Benetton dove ha potuto conquistare il suo unico successo in carriera nel Gran Premio del Giappone del 1989 a Suzuka.
Il suo bilancio totale parla di 78 Gran Premi disputati, con una vittoria e nove podi. Solitamente l’aggressività non fa rima con l’eleganza. Nel caso di Nannini invece sì. Questo connubio, così particolare, lo rese uno dei piloti più rispettati del paddock.
Poi arrivò il buio. Un grave incidente in elicottero nel 1990 gli negò la possibilità di competere ai massimi livelli del motorsport. Nonostante questo, però, Alessandro Nannini non si fermò ma si ripresentò nel Campionato Italiano Superturismo e in gare GT, ottenendo peraltro buoni risultati e dimostrando una forza d’animo apprezzata da tutto l’ambiente sportivo.
Non si può dire oggi cosa sarebbe stato senza quel maledetto giorno. Probabilmente decanteremmo le gesta di uno dei piloti più vincenti o magari il decorso professionale non si sarebbe sviluppato per come lasciavano supporre le potenzialità del ragazzo.
Ad ogni modo, come per tutti, arrivò l’ora dell’addio alle corse dopo le quali Nannini si è dedicato soprattutto alla gestione delle attività di famiglia. Siccome non contano soltanto le vittorie e i podi, ciò che ha fatto prima e dopo l’incidente rimane nella memoria dei tanti appassionati. Che oggi lo ricordano, infatti, come esempio di dignità e resilienza. Perché quando il talento non basta più, serve anche altro.
E Nannini lo ha avuto, accettando comunque l’impossibilità di riproporsi a determinati livelli ma continuando a lottare lo stesso per spingersi oltre i propri limiti. Oggi, a 66 anni compiuti, Alessandro Nannini può guardare al suo passato sportivo con orgoglio. Sapendo di aver dato sempre il massimo.
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