Il draft NBA è un evento iconico per il mondo del basket che offre la possibilità di emergere a giovani talenti e quella di rinforzarsi alle squadre più deboli.
Chiamatela pure la notte delle stelle. Il sogno di ogni giocatore di basket è quello di approdare un giorno nella NBA, il campionato più importante che c’è al mondo. Per realizzarlo c’è un evento con cadenza annuale dedicato proprio ai giovani talenti che desiderano emergere in questo sport. Si chiama Draft e le trenta squadre che militano nel massimo torneo americano hanno la possibilità di attingere dai vari college presenti sul territorio o dalle altre leghe i sessanta migliori ragazzi seguendo un ordine, definito pick, preventivamente stabilito.
I requisiti minimi per prendere parte alla selezione sono anagrafici, i candidati devono avere almeno 18 anni, e di curriculum con esperienza universitaria o internazionale alle spalle. Dal 2006 non è più conditio sine qua non la provenienza diretta dalle High School.
Ma come funziona all’atto pratico il Draft? Le squadre appartenenti alla National Basketball Association (NBA) hanno la possibilità di rinforzare le proprie rose attraverso una giornata interamente dedicata alla selezione di giovani da lanciare. Il Draft è composto da due turni da trenta scelte l’uno, una per ogni singola franchigia. L’ordine delle scelte non è ovviamente casuale, ma viene determinato dal posizionamento in classifica della stagione precedente in maniera tale da garantire che il torneo si mantenga quanto più equilibrato possibile.
I criteri di partecipazione sono selettivi. Anzitutto viene considerata la provenienza, che deve essere universitaria o da altre leghe internazionali con un’età minima che è generalmente di 18 anni compiuti. Agli atleti viene richiesto di presentare richiesta formale alla NBA entro una scadenza prestabilita. Le prime 14 posizioni del Draft sono decise in base ad una lotteria alla quale prendono parte quelle che non si sono qualificate ai play-off dell’anno corrente con la probabilità di ottenere una posizione migliore che dipende dall’andamento in regular season.
Sarà poi la lotteria a determinare l’ordine di selezione delle prime 14 scelte del Draft. E le altre? Per le squadre rimanenti il piazzamento dipende invece della classifica con vantaggio dato a chi sta peggio proprio in considerazione della volontà di livellare il più possibile la competizione. Scegliere prima dà un vantaggio non indifferente. Anzitutto perché c’è la chance di prendere i più bravi e poi perché così si può sopperire alle eventuali lacune dell’organico. C’è un tempo limitato per prendere una decisione e gli scambi sono sempre aperti. Si può scambiare una posizione oppure giocatori con le rivali.
L’impatto che poi avranno i talenti selezionati varia ovviamente a seconda dei casi. Certo, l’opportunità fornita alle franchigie per migliorare il proprio roster attraverso linfa nuova dalla quale attingere è importante. Nel primo turno le prime 14 scelte vanno alle squadre che non si sono qualificate per i play-off nella stagione precedente e pertanto non sono annoverate tra le sedici migliori della lega. Di queste tre vengono stabilite attraverso la già citata Lottery, quindi a sorteggio, mentre le altre in base ai record di vittorie, tenendo come riferimento sempre lo scorso campionato.
Resta valido il principio della proporzione inversa che dà sempre un vantaggio alle peggiori. Le ultime 16 scelte sono per le squadre migliori, classifica alla mano, con la più forte che quindi sceglierà soltanto alla fine tra ciò che è rimasto da prendere.
Qui sostanzialmente cambia poco rispetto a quanto precedentemente descritto. Ciò che sovente può accadere è che le varie formazioni decidano di scambiarsi più che i giocatori la possibilità di scegliere prima. I vari team così facendo hanno la possibilità di alterare lo status quo, andando a comprarsi di fatto un piccolo grande vantaggio per andare a scegliere nella parte alta del Draft. Questo meccanismo, al pari del tetto salariale, serve ad evitare che la differenza tra le franchigie più forti e quelle più deboli possa ulteriormente ingrandirsi. La parola chiave è equilibrio, ovvero cercare di mantenere il torneo quanto più competitivo possibile ed evitare che i giocatori più bravi finiscano tutti dalla stessa parte.
Non tutte le annate sono uguali, come potete ben immaginare. Ce ne sono alcune destinate a non cambiare assolutamente nulla nel panorama NBA ed altre invece che hanno un impatto significativo sulla lega stessa. Dei Draft ci sono alcune edizioni rimaste nella storia, come quella del 1956 quando emersero due campioni come Bill Russell e Elgin Baylor. O quella del 1960 con tre elementi di spicco come Oscar Robertson, Jerry West e Lenny Wilkens.
Passando ad epoche più recenti, che dire del 2003, stagione nella quale emersero i vari LeBron James, Dwyane Wade, Chris Bosh e Carmelo Anthony. Facendo un piccolo passo indietro anche il 1996 non fu proprio terribile tra Kobe Bryant, Allen Iverson, Steve Nash, Ray Allen. Ma il migliore di tutti è senza alcun dubbio quello del 1984. Perché? Per Michael Jordan, Hakeem Olajuwon, Charles Barkley e John Stockton.
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