Una carriera passata in blaugrana, una qualità senza fine e un modo di fare calcio che, complice l'arrivo di Pep Guardiola, è diventato parte della storia di questo sport fino a cambiarne il modo in cui viene concepito.
A scanso di equivoci: il Barcellona è sempre stato un grande club se non qualcosa di più come recita lo slogan presente al Camp Nou. Eppure, se da un lato in Spagna era assolutamente in grado di giganteggiare fianco a fianco con il rivale di sempre, il Real Madrid, dall'altro in Europa faticava ad ottenere i riconoscimenti che il suo blasone gli imponevano.
Questo fino al 2006 quando riuscì a vincere la seconda Champions League della sua storia. Sì, perché la prima l'aveva vinta da outsider nel 1992 battendo in finale la Sampdoria con un gol di Rambo Koeman segnato al 112esimo minuto. Insomma, una vera e propria sofferenza per una gioia immensa che si sarebbe andata a replicare soltanto quattordici anni dopo. All'epoca in panchina c'era un olandesone vecchia conoscenza del calcio italiano come Frank Rijkaard. Accanto a lui sedevano due personaggi già importanti ma il cui valore sarebbe cresciuto esponenzialmente negli anni a venire. Il riferimento, naturalmente, è a Xavi e Iniesta: due figure quasi mitologiche inscindibili.
Difficile si possa nominare uno senza fare riferimento all'altro. Quasi fossero una coppia di attori, protagonista e spalla con ruoli intercambiabili accomunati da una qualità abbondantemente sopra la media. Oggi Xavi è allenatore proprio dei blaugrana, mentre Iniesta, di quattro anni più giovane, ancora non vuole saperne di appendere le proverbiali scarpette al chiodo e si diverte ancora in Giappone tra le fila del Vissel Kobe. Una piacevole esperienza di vita, per lui e per la sua famiglia. In attesa che la chiamata di casa madre arrivi anche per lui.
Dicevamo: la storia del Barcellona è cambiata radicalmente dal 2005/2006 in poi. Già con Frank Rijkaard in panchina c'era stata la sensazione che stesse nascendo qualcosa di importante nel panorama calcistico internazionale e soprattutto più duraturo di quella piccola parentesi aperta e chiusa nel 1992. In realtà la terza Champions arrivò solo tre anni dopo: nel frattempo, archiviate le parentesi delle star brasiliane Rivaldo e Ronaldinho, i blaugrana avevano trovato un nuovo dio del calcio ma stavolta argentino.
Stiamo parlando del sette volte Pallone d'Oro Lionel Messi che in quegli anni avevano iniziato a muovere i primi passi, e che passi, tra i grandi dopo la trafila nella cantera catalana. Oltre all'indiscutibile classe cristallina di Leo, a Barcellona era successa un'altra cosa di notevole importanza: al timone di quello squadrone era stato chiamato un altro ex come Pep Guardiola del quale si diceva un gran bene ma che aveva zero esperienza in panchina, se non qualche anno nella formazione B proprio del Barcellona. Un salto nel vuoto, seppur calcolato, fortemente voluto dall'allora presidente Joan Laporta.
Fu un'intuizione magnifica che cambiò radicalmente non solo le sorti della squadra ma l'intera concezione che oggi abbiamo del calcio. Nacque infatti, con l'avvento di Pep, una visione diversa dell'interpretazione del gioco sintetizzabile nel termine spagnolo Tiqui Taca (Tiki Taka) che oggi è diventato di uso comune ovunque, anche in Italia. Dominio del gioco, possesso palla per lo più orizzontale, ridurre drasticamente chance e tempo degli avversari di attaccare semplicemente per indisponibilità del principale strumento di questo sport: il pallone!
Tutto bellissimo ma per mettere in pratica la filosofia di Guardiola, servivano in mezzo al campo calciatori in grado di gestire con sapienza il pallone e che avessero quindi una proprietà tecnica fuori dal comune. È sempre chi va in campo a determinare cosa può accadere o non accadere, a prescindere dalle brillanti idee, sempre necessarie, della guida tecnica. Ecco perché se Xavi e Iniesta devono dire grazie a Guardiola è vero anche l'inverso. L'unità di misura nel calcio per capire quanto e come un sistema di gioco e i loro interpreti abbiano funzionato è poi sempre lo stesso: il risultato.
Otto titoli nazionali e due Champions in bacheca nel giro di quattro anni. I successi di quel Barcellona proseguirono anche dopo l'addio del genio di Santpedor con un'altra Champions con Luis Enrique allenatore ed altri riconoscimenti preziosi. La coppia Xavi-Iniesta e il loro modo di giocare, così spagnoleggiante, ha dato i frutti anche in Nazionale con le Furie Rosse capaci di portare a casa un Mondiale e due Campionati Europei.
Due autentici fuoriclasse, che resteranno indimenticati nonostante non abbiano poi ricevuto in campo i meritati premi individuali che sarebbero stati sacrosanti. Poco male, perché chi ha avuto la fortuna di vederli sa cosa e quanto abbiano dato Xavi e Iniesta, con quel pallone che non smetteva mai di girare. Così si è creata la leggenda, che non morirà mai.
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