Anno 2021. Un italiano riesce finalmente ad arrivare in finale nel torneo londinese. Ma nonostante la performance del giovane capitolino è ancora Djokovic a trionfare. Così The Hammer alza bandiera bianca, uscendo a testa alta dalla competizione.
In centotrentacinque anni di storia nessun italiano è mai riuscito a prendersi Londra. E dire che di tennisti importanti ne abbiamo avuto qualcuno negli anni, senza però sfatare un tabù che continua a far male. Anche perché Wimbledon nel tennis ha un fascino particolare. Lo ha perché è il torneo più antico al mondo, perché nonostante dia spazio all’innovazione rimane fedele alla tradizione – come l’abito bianco, conditio sine qua non inderogabile per i partecipanti -, perché è l’unico Slam su erba, perché è il torneo più ricco, perché la domenica è di riposo e per tanti altri motivi.
La speranza più grande per l’edizione attuale si chiama Jannik Sinner, per il quale vedremo se i tempi saranno effettivamente maturi. Ma più che del presente vogliamo parlare del passato, di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, di un uomo che ha fatto sognare l’impresa sfiorandola soltanto, di chi ha fatto tremare il più grande di tutti costringendolo a una fatica supplementare. Sì, questa è la storia di Matteo Berrettini, la cui partecipazione al prossimo torneo di Wimbledon è oggi in dubbio causa infortunio. Ma che è l’azzurro che più di tutti è andato vicino a prendersi Londra.
Soprannominato The Hammer, per la potenza dei suoi colpi, oggi affievolita da una condizione fisica precaria. L’ultimo titolo Matteo Berrettini lo ha vinto nel 2022 col Queen’s confermando il feeling positivo con Londra. Nonostante i due trionfi consecutivi, prima ancora aveva vinto a Stoccarda, il ventisettenne romano uscì dalla top 10 proprio in quella settimana dopo esserci stato per centosedici settimane consecutive segnando un nuovo record per il tennis italiano.
Adesso, Berrettini potrebbe non essere presente a Wimbledon: ai Championship la sua ultima immagine che ci resta oggi è quindi ancora quella dell’abbraccio post sconfitta contro Djokovic, sinceramente colpito dalla prova dell’avversario in quella maledetta finale del 2021. Ma andiamo con ordine: quell’anno Roger Federer, un’istituzione per tutti ma anche nello specifico per Wimbledon, si apprestava alla sua ultima uscita prima del ritiro.
Novak Djokovic era campione in carica e grande favorito già in partenza. Nel mezzo c’erano diversi outsider che sognavano di infilarsi in un copione che pareva bello che scritto. Anche Berrettini, insospettabile tra gli insospettabili, in realtà si presentava all’appuntamento lucidato e in gran spolvero per incidere il suo nome negli almanacchi.
30 giugno 2021. Comincia l’avventura di Matteo Berrettini a Wimbledon. Primo avversario è l’argentino Guido Pella: insomma, un inizio soft per l’italiano che affonda il rivale concedendogli un set su quattro. Dopodiché, al secondo turno, è la volta dell’olandese Botic van de Zandschulp: stavolta la pratica è archiviata ancora più agevolmente in tre set. Stesso dicasi per Aljaz Bedene al terzo turno. Siamo ancora in una fase interlocutoria della manifestazione, in attesa che arrivi il clou.
Dagli ottavi di finale il livello si alza con il bielorusso Ilya Ivashka, comunque regolato col minimo indispensabile. Qualche grattacapo in più glielo hanno creato Felix-AugerAliassime e Hubert Hurkacz che ai quarti e in semifinale un set sono riusciti a portare via all’italiano. Non è però bastato per fermarlo. Così Berrettini è arrivato in finale, come solo Panatta seppe fare nei tornei dello Slam a Parigi nel 1976.
Arriviamo così all’11 luglio 2021. Sulla carta esito già scritto: da un lato c’è il gigante Novak Djokovic che raramente fallisce nelle grandi occasioni e che aveva già scalzato dal trono uno come Roger Federer; dall’altro un giovane rampante italiano con fame e ambizione che sta godendo i frutti dei suoi progressi. Vero è, che qualche volta capita nello sport che Davide batta Golia. Ma non è questo il caso, per sfortuna dell’asso romano. Che la sua parte la fa, in tutto e per tutto e che abbandona il campo senza rimpianti, consapevole di aver dato tutto.
Ma se di fronte hai un cannibale come il serbo è complicato uscire indenni dal confronto. Primo set nel segno dell’equilibrio, complice qualche momento di inattesa emozione che contro ogni previsione colpisce anche un atleta abituato a questo tipo di partite come Djokovic. La magia di Wimbledon è anche questa. Ad ogni modo Berrettini si porta avanti nel punteggio e tiene botta anche nei successivi parziali, anche se il campione in carica cambia marcia iniziando a premere sull’acceleratore. Alla lunga resistere diventa impossibile. Nulla da fare. Djokovic vince ancora, resta il prestigio di una finale ma anche il tabù di un’Italia che non riesce a prendersi Wimbledon.
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