Lo sloveno ha confermato le aspettative, dominando la Corsa Rosa dalla...seconda all'ultima tappa. Ora l'obiettivo è l'accoppiata Giro-Tour, riuscita per l'ultima volta a Marco Pantani nel 1998.
Il paradosso è che, pur avendo stravinto il Giro d'Italia con ampio margine, gli sarà rimasto un cruccio, piccolo solo per chi non si chiama Tadej Pogacar: non essere stato al comando dalla prima all'ultima tappa. Soltanto dalla seconda in poi. Perché sono i dettagli che fanno la differenza, i particolari che separano i campioni dai fuoriclasse. E “Pogi” fuoriclasse lo è ormai per acclamazione, suffragato dai risultati, amato dai tifosi e rispettato dagli avversari.
Gli stessi che batte con spietata regolarità, ma che poi sa ripagare con gesti da campione vero, come quando – dopo aver distanziato Giulio Pellizzari sul traguardo di Monte Pana – gli ha regalato la maglia rosa, insieme agli occhialini che gli aveva chiesto il giovane corridore della Bardiani. Un gesto di cuore, un piccolo pezzo di ciclismo d'antan che è riaffiorato in un Giro, peraltro, segnato dalle imprese e dalle vittorie dello sloveno, autentico primattore capace di tenere fede ad attese e aspettative della vigilia.
Nato a Komenda, in Slovenia, il 21 settembre 1998, “Pogi” è stato il vero “personaggio” di questa edizione del Giro. Pochi come lui sono capaci di vantare già un palmares di assoluto rispetto. In carriera, infatti, ha messo insieme una collezione di trofei degna di un fuoriclasse, a dispetto dell'età relativamente giovane. I paragoni con Eddy Merckx si sprecano, sia per le indubbie qualità dello sloveno, sia per la sua caparbietà nel ricercare la vittoria a ogni costo e in ogni situazione. Anche quando, forse, potrebbe lasciar spazio a qualche comprimario.
Per molti è il nuovo “Cannibale” del ciclismo, la versione 2.0 del belga che sfrecciava negli Anni '70: un corridore completo, in grado di fare la differenza in salita e sul passo, che non si tira indietro nelle volate e che si è dimostrato a suo agio – anche in questa edizione del Giro – pure su strade non asfaltate, sullo sterrato o sul pavé. E poi è un eccellente cronoman, uno di quegli esempi sempre più rari nel ciclismo moderno di campione duttile e polivalente, capace di puntare al successo sia nelle grandi corse a tappe che nelle classiche da un giorno. Monumento e non.
Primo nella classifica dell'UCI World Ranking ininterrottamente dal 28 settembre 2021, Pogacar vanta due Tour de France (2020 e 2021), un bronzo olimpico nella prova in linea a Tokyo (2020), un altro bronzo ai Mondiali di Glasgow 2023, due Liegi-Bastogne-Liegi (la prima nel 2021), tre Giri di Lombardia (2021, 2022 e 2023), un Giro delle Fiandre (2023), una Amstel Gold Race (2023), due Tirreno-Adriatico (2021 e 2022), due Giri degli Emirati Arabi Uniti (2021 e 2022), una Parigi-Nizza (2023), una Freccia Vallone (2023) e due edizioni della Strade Bianche. E la collezione si è arricchita in questa prima parte di 2024 con altri importanti riconoscimenti. Giro compreso.
Nel 2024 ha già messo insieme il consueto mix di classiche e corse a tappe. Ha vinto per la seconda volta la Strade Bianche, ha trionfato alla Liegi-Bastogne-Liegi, ha portato a casa la Volta a Catalunya con quattro successi di tappa. Una sorta di antipasto del Giro, dove ha fatto incetta di tappe e dove ha stravinto la classifica generale, con vantaggi da ciclismo d'altri tempi sul secondo classificato. Un dominio iniziato col trionfo nella seconda tappa, con arrivo al Santuario di Oropa, e proseguito con altre imprese dai contorni epici, da Prati di Tivo a Livigno, dalla crono di Perugia all'ascesa di Santa Cristina Valgardena e altre ancora. Insomma, un ruolino di marcia da dominatore, da campione una spanna sopra la concorrenza. Un “Cannibale”, appunto.
Pogacar non è uno che si accontenta dei successi ormai in cassaforte, anzi. Lo sloveno guarda già alle prossime sfide. E dopo il Giro d'Italia, la missione si chiama Tour de France, sulle orme di Marco Pantani che è stato l'ultimo a centrare la favolosa doppietta nel 1998. Pirata a cui Pogacar assomiglia nelle progressioni in salita, Pogacar che per la verità si difende benissimo (eufemismo, visto che vince quasi sempre lui) anche nelle prove contro il tempo. Alla Grande Boucle ha un conto aperto col danese Jonas Vingegaard, che l'ha battuto sia nel 2022 sia nel 2023. Quest'anno però “Pogi” sembra avere davvero una marcia in più, galvanizzato e messo in condizione da un Giro dominato dalla prima all'ultima tappa. Pardon: solo dalla seconda all'ultima.
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