Il tecnico piacentino ha provato il suo triplete di trofei cedendo in finale al Manchester City. Ma la stagione dell’Inter resta positiva anche senza la Champions.
Simone Inzaghi, quarantasette anni, da Piacenza. Da calciatore è quasi sempre stato considerato il fratello di Pippo ma da allenatore ha saputo conquistarsi il palcoscenico con una carriera da vero e proprio predestinato. La possibilità gliel’ha concessa la Lazio, prima nella formazione Primavera dove è subito riuscito a vincere Supercoppa italiana e Coppa Italia per ben due volte. Poi sempre Claudio Lotito, dopo il fallimento dell’esperienza con il Loco Bielsa che di fatto ha salutato prima di cominciare, ha deciso di promuoverlo ad allenatore della prima squadra.
Da lì è nato un binomio che è durato la bellezza di cinque anni e mezzo con due Supercoppe italiane e una Coppa Italia in bacheca. Nel mezzo soltanto una qualificazione in Champions League a testimonianza di un feeling ancora da trovare per quanto riguarda lunghe maratone come il campionato. Tutto ciò, unito ad un’immagine pubblica comunque positiva con dichiarazioni mai fuori luogo e uno spirito sempre aziendalista, è bastato per lasciargli conquistare la chiamata dell’Inter. Dopo le titubanze iniziali, dovute al suo rapporto speciale con la famiglia Lazio, Simone Inzaghi ha poi deciso di accettare le lusinghe nerazzurre raccogliendo la pesante eredità del fresco scudettato Antonio Conte.
Compito non semplice, quello affidatogli da Beppe Marotta. Ma sfida affascinante per un tecnico come Simone Inzaghi che aveva anche bisogno di allontanarsi dalla comfort zone rappresentata dalla sua Lazio. La base di partenza, che ha chiaramente influito sulla decisione dell’Inter di assumerlo, è stata il 3-5-2, modulo di riferimento del piacentino e lo stesso utilizzato dal suo predecessore. Stile di gioco però differente rispetto a Conte, con una vocazione maggiormente offensiva e una maggiore qualità nella ricerca del possesso palla.
Non un figlio di Guardiola, sicuramente, ma neppure un risultatista: Inzaghi si è sempre collocato nel mezzo tra la tradizione italiana e la continua ricerca del bel gioco a tutti i costi. Il suo approccio col mondo nerazzurro è stato positivo, con un primo campionato che lo ha visto in lotta col Milan fino alla fine: un duello perso poi a poche giornate dal termine del torneo con la complicità del portiere Radu nella sconfitta di Bologna. A rendere meno amara la stagione ci hanno però pensato le coppe, la Supercoppa italiana e la Coppa Italia vinte entrambe contro la Juventus di Massimiliano Allegri.
C’è stato un momento durante l’anno in cui le strade tra Simone Inzaghi e l’Inter stavano per separarsi. Non a stagione in corso, vezzo italico poco gradito dal Beppe Marotta dirigente, ma al termine dell’annata stava per configurarsi un divorzio che ai più pareva scontato. D’altra parte il club nerazzurro in campionato non è mai riuscito a tenere il passo del Napoli che lo ha distanziato di ben diciotto lunghezze.
Un dato che, preso così in senso assoluto, non trova giustificazioni, se consideriamo la rosa importante di cui può disporre il tecnico piacentino. Ma che è soltanto parziale, perché va affiancato ad un andamento nelle coppe che è stato quasi interamente senza macchie. D’altro canto il feeling di Inzaghi con le partite ad eliminazione diretta è stato un leitmotiv della sua carriera e che gli ha permesso di bissare ancora una volta sia in Supercoppa italiana che in Coppa Italia. Le vittime stavolta sono state il Milan e la Fiorentina in finale. Parallelamente dove è andato oltre le aspettative è stato in Europa, grazie a un rendimento praticamente perfetto in Champions League.
Nonostante un girone di ferro, i meneghini sono riusciti a passare qualificandosi secondi alle spalle del Bayern Monaco e prima del Barcellona, spedito così in Europa League. Poi hanno vinto il duello contro il calcio portoghese, prima battendo il Porto e poi facendo altrettanto con il Benfica. E quindi alle semifinali hanno trovato il Milan prendendosi la rivincita rispetto al 2003: successo dell’Inter sia all’andata che al ritorno, che ha permesso a Inzaghi e ai suoi di trovare in maniera del tutto inaspettata un posto allo stadio olimpico Atatürk di Istanbul.
Lì, di fronte al Manchester City di Pep Guardiola, neppure il tocco magico di Inzaghi è riuscito a consegnare all’Inter la sua quarta Champions della storia a distanza di tredici anni da quella targata José Mourinho. Resta un percorso memorabile e un sogno vissuto fino in fondo. Nello sport conta vincere ma a volte è bello anche solo viversi il viaggio e far sì che duri il più a lungo possibile. In attesa delle maratone.
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