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Rugby: Sei Nazioni, chiusura amara per l’Italia

Con cinque sconfitte in altrettante partite gli azzurri di Kieran Crowley si beccano il cucchiaio di legno. Anche contro la Scozia la truppa azzurra si è dovuta arrendere. 

A Murrayfield si chiude l’avventura dell’Italia al Sei Nazioni. Un’esperienza, complessivamente, tutt’altro che esaltante per la truppa guidata da coach Kieran Crowley. Contro la Scozia è infatti arrivata la quinta sconfitta in altrettante partite disputate per una Nazionale il cui processo di crescita, innegabile, non è evidentemente ancora arrivato a compimento. 

E dire che le premesse per il torneo, lungi dal vedere gli azzurri tra le favorite, erano tutt’altre. L’Italia era infatti partita con l’intento di dare fastidio il più possibile alle contendenti, sottraendole magari qualche punto ed evitare il temuto cucchiaio di legno. Alla fine di tutta la semina il raccolto è stato nullo per capitan Lamaro e compagni. Nell’ultimo match, con avversario la Scozia, gli azzurri ci hanno provato, a dire il vero, rientrando pure in gara dopo lo svantaggio iniziale. 

La meta di Allan, tuttavia, più che rimettere in corsa la formazione ospite ha riacceso gli animi di quella padrona di casa che con Klinghorn e le sue mete ha messo il sigillo finale sulla partita e sull’intera competizione. Ventisei a quattordici il punteggio finale in favore della Scozia contro l’Italia.

Dalla speranza alla caduta: le premesse del torneo erano diverse

Insomma, questa edizione 2023 non passerà alla storia per l’Italia. Che ha raccolto il suo diciottesimo cucchiaio di legno della storia. Decisamente meglio è andata invece agli scozzesi che precedentemente avevano pure battuto Inghilterra e Galles segnando una delle performance più importanti di sempre. 

Difesa ed entusiasmo dovevano essere i punti di forza degli azzurri all'avvio della competizione, dove il secondo era dettato in particolar modo dal successo della vigilia contro il Galles. Con quella partita gli uomini di Kieran Crowley avevano chiuso con un bilancio di cinque vittorie sulle sette sfide complessivamente disputate. Tra le vittime illustri della furia tricolore ci era finita dentro anche l’Australia. 

Insomma si era rivista la luce, in fondo ad un tunnel buio che era durato per ben sette anni nel Sei Nazioni con un ruolino di marcia, non proprio lusinghiero, di trentasei sconfitte consecutive. Nulla da fare neppure in questa circostanza, con un calendario che dava il vantaggio di tre match casalinghi e due in trasferta anche se chiaramente con avversari di una certa caratura data l’imponenza dell’evento. Invece, pronti via ed è arrivato il primo ko contro la Francia al quale hanno fatto seguito quelli contro Inghilterra, Irlanda, Galles e quindi Scozia. 

Dall’occasione sprecata alla nuova chance Mondiale

Che il rugby non fosse lo sport nazionale, nel quale potessimo eccellere era quindi risaputo e certificato dalle numerose edizioni del Sei Nazioni andati a vuoto. Stavolta invece c’era qualcosa di diverso nell’aria che però si è tramutato presto in illusione. Non che siano mancati coraggio e voglia di fare da parte dei rappresentanti del tricolore che trova il momento massimo probabilmente nel secondo tempo di dominio contro la Scozia. 

“Esperienza e pazienza nel concretizzare il possesso”, i difetti individuati da Diego Dominguez mentre Lamaro ha guardato già subito avanti proiettandosi al futuro: “Lavorare sui dettagli per andare lontano”. Proprio quelli, i dettagli hanno fatto la differenza nella kermesse del Sei Nazioni dove per costituzione fisica certamente non potevamo definirci i più forti ed era per questo necessario far leva su altre componenti nel tentativo di disinnescare le tante mine sparse sul cammino. 

Andare oltre, allora, è proprio quello che serve in questo momento all’Italia, con la Rugby World Cup, piacevole distrazione e obiettivo neppure tanto lontano. Quella può e deve essere un’occasione di riscatto o, ancora meglio, la conferma dell’effettiva crescita dell’intero movimento. Il prossimo Mondiale durerà ancora di più dei precedenti, cinquanta giorni in totale, con cinque giorni di riposo tra un match e l’altro. Altro elemento di comfort aggiuntivo, rose più numerose con trentatré giocatori a disposizione al posto dei trentuno precedentemente previsti. 

Gli azzurri esordiranno nella competizione il prossimo 9 settembre contro la Namibia, poi se la vedrà contro Uruguay, All Blacks e Francia. Insomma, non un percorso semplice ma tutto il tempo davanti per prepararsi al meglio e farsi trovare pronti all’appuntamento. Anche perché non tutto è da buttare: resta positivo il lavoro messo in atto dall’allenatore Crowley che ha portato avanti una squadra giovane con diverse promesse tra le proprie fila. La pazienza allora sarà effettivamente una virtù da coltivare senza dimenticare che il progetto è chiaramente a lungo termine. 

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