Articolo pubblicato il (22/08/2022)
La rivalità con Magic Johson, la carriera con una sola maglia addosso – quella dei Boston Celtics – il soprannome di The Legend. La storia di una stella senza tempo.
"Una volta mi dicesti che in futuro ci sarebbe stato un nuovo Larry Bird. Larry, non ci sarà mai, mai e poi mai un altro Larry Bird". Quando queste parole le pronuncia un "nemico", per di più storico, come Magic Johnson il loro peso assume un valore raddoppiato.
D'altro canto la loro rivalità è sempre esistita solo in campo, ma fuori – svestiti i panni dei campioni di basket – il loro rapporto è stato all'insegna del rispetto e dell'amicizia. Basti pensare che quando Larry Bird giocò la sua ultima partita, prima del ritiro, Earvin Johnson si presentò con la maglietta dei Boston Celtics sotto la tuta dei Lakers per rendergli omaggio.
E dire che a quei tempi rappresentavano i due poli opposti della pallacanestro: uno in forza ai Boston Celtics e l'altro nei Lakers, due parallele destinate a non incrociarsi mai. Come Barcellona e Real Madrid, Partizan-Stella Rossa o il Superclasico Boca-River, per cercare un paragone con il mondo del calcio. Farsi apprezzare dai propri tifosi è sempre il traguardo massimo per uno sportivo, ma quando ad amarti sono gli avversari vuol dire aver raggiunto l'olimpo. Ed è stato questo il destino segnato da Larry Bird, la più pura e autentica stella del basket. Davvero irraggiungibile, a prescindere da epoche e contesti storici.
Quando hai una altezza di oltre due metri in tanti ti consigliano di darti al basket. Fossero sufficienti i centimetri in più per giocare bene davvero avremmo avuto più Larry Bird. La realtà è che vanno abbinate una serie di doti e qualità che soltanto Madre Natura può attribuire e alle quali poi bisogna aggiungere spirito di sacrificio e allenamento. Bird era un'ala che sapeva distinguersi in qualsiasi aspetto del gioco: era infatti un eccellente tiratore come testimoniano le statistiche, era un abile rimbalzista, aveva una specializzazione nel fornire assist e risultava efficiente anche in fase difensiva e nelle palle rubate.
In pratica i Boston Celtics potevano godersi più giocatori in un corpo solo. Oltre all'aspetto tecnico c'era poi un'altra componente fondamentale: le doti caratteriali, che uno ha dentro di sé oppure non le ha: e Larry aveva anche quelle perché era un leader nato, punto di riferimento per i compagni e spina nel fianco degli avversari ai quali non risparmiava frasi spesso e volentieri anche pesanti nel tentativo di mettergli pressione psicologica.
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Anche questo fa parte dello sport ed è archiviabile alla voce furbizia: troppo importante il risultato per crearsi delle remore, così il ragazzone di West Baden Springs non lesinava l'utilizzo del trash-talking. La sua supremazia era così evidente che quando l'NBA impose un tetto salariale venne aggiunto un emendamento che prevedeva un'unica eccezione per squadra ribattezzata proprio "Larry Bird Rule".
Una sola maglia per tutta la carriera. La fedeltà nello sport è una delle qualità universalmente più apprezzate. Con i Celtics Larry Bird conquistò tre titoli NBA. Il primo fu nel 1981 contro i Rockets di Moses Malone. Sul secondo, tre anni dopo, la sua impronta fu ancora più nitida anche per ciò che disse dopo la sconfitta con i Lakers e cioè che i suoi compagni avevano giocato come delle signorine.
Il suo intento, quello di caricare il gruppo, fece immediatamente breccia e condusse i biancoverdi fino al successo accendendo in loro la sacra fiamma che è necessaria per andare a caccia di trofei. Tra le chicche della carriera di Bird c'è poi quella fatidica gara nella quale giocò con una mano soltanto, la sinistra, dopo l'infortunio rimediato alla destra: l'occasione era quella del match con i Portland Trail Brazers il 14 febbraio 1986 concludendo con uno score di 47 punti, 14 rimbalzi ed 11 assist e con i canestri determinanti per centrare prima i supplementari e poi la vittoria.
Dopo l'oro olimpico conquistato nel 1992, decise poi di ritirarsi anche per i problemi alla schiena ormai a pezzi guadagnando di diritto un posto nel Dream Team insieme agli amici Michael Jordan e Magic Mike. Svestiti i panni da giocatore intraprese poi i panni di allenatore e direttore sportivo sempre e solo con gli Indiana Pacers dimostrandosi uomo di successo anche in ruoli diversi. Nel 2017 rassegnò definitivamente le sue dimissioni, anche per problemi di salute che di fatto lo avevano reso soltanto uomo simbolo della sua società. Oggi, a 65 anni, si gode i frutti del suo straordinario lavoro che gli ha regalato qualcosa di impagabile: l'eternità.
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