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Gli ATP di Gstaad, Bastad e Newport hanno i loro padroni

Tre storie da raccontare. Quella di Pedro Cachin che in Svizzera conquista il primo titolo della carriera; quella di Rublev in continua ascesa, trend confermato pure in Svezia; e quella di Mannarino che negli Usa ritrova la versione migliore di sé stesso.

Non aveva mai vinto nulla, Pedro Cachin. Ci ha pensato Gstaad a regalargli il primo titolo della carriera. Lo ha conquistato battendo in finale lo spagnolo Albert Ramos-Vinolas in rimonta dopo un’estenuante partita durata la bellezza di oltre due ore. La prima frazione è a favore del trentacinquenne catalano che poi ha iniziato a dare segni di cedimento a partire del secondo tempo subendo il dominio, piuttosto evidente, dell’argentino. 

Il suo successo ha molto della Spagna, dal momento che oltre a Vinolas, ultimo ostacolo per il trionfo, è dovuto passare anche attraverso Roberto Bautista Agut e Jaume Munar. Il giapponese Taro Daniel e il serbo Hamad Mededovic, gli altri due avversari affrontati nell’arco della settimana svizzera. Il ventottenne di Bell Vill finora era riuscito a togliersi qualche soddisfazione soltanto in tornei minori, avendo modo di esordire con la Nazionale del suo Paese in Coppa Davis proprio in questo 2023. Annata che Cachin aveva cominciato decisamente male con un solo incontro portato a casa nei primi due mesi di lavoro, nell’ATP 250 di Buenos Aires. 

Un’altra finale l’aveva invece persa al Challenger di Madrid, cadendo contro Alexander Shevchenko. Cenni di risalita li ha dati sempre nella capitale iberica, dove si è spinto fino al quarto turno, prima volta in un Masters 1000. Dove, tra l’altro, ha battuto rivali del calibro di Francisco Cerundolo e Frances Tiafoe, rispettivamente numeri trenta e undici del ranking. Oggi Cachin è novantesimo, di terreno durante il percorso ne ha perso tanto. Ma si può ricominciare, anche a ventotto anni. 

Rublev e la crescita nel 2023: con Bastad sale a 14 titoli

Più abituato alle vittorie è invece Andrey Rublev, che mettendosi in tasca pure l’ATP di Bastad ha collezionato il suo quattordicesimo titolo in carriera. Il russo non ha neppure avuto un percorso così semplice qui in Svezia. Partiamo dalla fine, dove ha dovuto superare un certo Casper Ruud che da queste parti aveva già vinto nel 2021. Il match è stato equilibrato soltanto nel primo set, nel quale il norvegese ha recuperato un gioco di svantaggio cedendo poi al tie-break. 

Dopodiché il venticinquenne moscovita ha preso in mano il controllo della partita, senza concedere neppure una minima opportunità all’avversario. Questo successo conferma il trend assolutamente positivo di Rublev in questo 2023: anche a Monte Carlo era riuscito a salire sul gradino più alto centrando il primo Masters 1000 della sua carriera. 

Rendimento che è stato premiato anche dal punto di vista del ranking col settimo posto della graduatoria mondiale. Bastad può rappresentare inoltre uno snodo cruciale anche in ottica delle Finals di Torino alle quali parteciperanno soltanto gli otto migliori tennisti in circolazione. Da questo punto di vista il salto di Rublev è stato notevole, dal momento che gli ha permesso di superare pure Jannik Sinner e Stefanos Tsitsipas. Presto ancora per fregiarsi del titolo di “Maestro” ma è sicuramente una spinta determinante quanto meno per andarselo a giocare. 

Mannarino a stelle e strisce: il feeling con gli Usa confermato a Newport

L’ultima volta che un francese aveva vinto a Newport era il 2013. In quella circostanza a prevalere fu Nicolas Mahut, passato alla storia per aver giocato il match più lungo nella storia del tennis nel 2010 contro Isner: la bellezza di undici ore di partita. Oggi a riportare in terra transalpina l’Hall of Fame Open è Adrian Mannarino. Il trentacinquenne di Soisy-sous-Montmorency ha vinto il terzo titolo della sua carriera battendo in finale Alex Michelsen. 

L’ultima volta era stato al Winston-Salem, sempre su suolo statunitense, nel 2022 contro il serbo Laslo Djere. Mentre prima ancora l’altro sigillo era stato piazzato nel 2019 a Rio de Janeiro al cospetto di Felix Auger-Aliassime. Vincere a quest’età ha un sapore ancor più speciale, indice di longevità e una competitività che consente ancora di gareggiare ad alti livelli. Nell’arco del torneo californiano, Mannarino è dovuto passare anche attraverso gli australiani Rinky Hijikata e Jordan Thompson, oltre al connazionale Ugo Humbert. E raramente si è trovato in difficoltà, con un solo set concesso agli avversari e un dominio di fatto totale che ha fatto sì che meritasse ampiamente questa soddisfazione. 

“Negli Stati Uniti mi sento a casa” aveva dichiarato qualche mese fa il tennista, che oggi ha confermato questo feeling particolare anche in virtù del fatto che conosce molto bene tutti i colleghi appartenenti a questa area geografica. Un francese americanizzato, insomma. Anche perché Mannarino ha pure confessato di sentirsi a disagio nei tornei organizzati in patria: troppi amici. Meglio provare a far danni altrove, come a Newport dove è tornato a sorridere di nuovo. 

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